Salvatore Grosso, il "Mare Dentro"

Campionati italiani
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Internazionali ad Ustica
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Campionati Mondiali a Tahiti
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Eravamo due bambini quando arrivammo a Villasimius con nostro padre Salvatore Grosso a bordo di una Simca 1300 sopra alla quale giaceva perennemente una piccola barca trimarano dei cantieri Manca, recuperata dal fondo del Mare, riparata con perizia e riattata a barca appoggio armata di un glorioso 4 HP Johnson, che ci avrebbe dato la forza motrice per portarci in

paradisi perduti come l’isola dei Cavoli e Serpentara, territori incontrastati del nostro genitore.

Preparammo la barca e via di buona lena a cercare la tana giusta mentre trainavamo la vecchia volpe che, attaccato ad un lungo traino, scrutava con occhio esperto quei fondali a lui così familiari. Aveva una muta Majorca della Technisub, un paio di pinne lunghe della Scubapro, come maschera la fedele Pinocchio e impugnava il mitico Sten da 90 cm.

Era uno spettacolo vederlo in azione: si muoveva come un pesce e sembrava veramente che quel mondo gli appartenesse.

Ad un tratto ci fece cenno di spegnere il motore e s’immerse; io e mio fratello ci tuffammo in acqua con maschera e pinne per vederlo in azione: si infilò intermente in una tana e il suo fucile urlò, riemerse e vedendoci in acqua ci disse di andare a prendere il raffio dalla barca, eseguimmo ed ad un secondo tuffo riemerse con sua maestà: una cernia di quindici chili e per noi fu un’esperienza unica che ci fece capire che questo sport sarebbe stato nostro per tutta la vita.

Abbracciammo felici il campione e accarezzavamo increduli quel pesce così bello mentre era stato messo a pagliolo. Si riattaccò al traino continuò a pescare per tutta la giornata riempiendo letteralmente la barca di pesce: saraghi enormi, corvine, marvizzi e si fermò solo quando il sole stava ormai tramontando e capì che che i suoi figli erano provati da quell’esperienza. Pian piano rientrammo in porto, era buio e faceva freddo, ma tutto passò quando ci disse che ormai eravamo i suoi barcaioli; ci eravamo guadagnati il diritto di seguirlo per sempre.

La domenica successiva a Santa Margherita di Pula stesso copione tranne che un piccolo contrattempo alla messa in moto del motore, riparato prontamente dal nostro genitore tuttofare e via verso la secca di fronte al Forte Village. Si tuffò e noi con lui, s’immerse verso uno scoglio isolato in mezzo alla sabbia ed entrò nell’unico buco presente e il fido Sten cantò, ma risalì senza nessun pesce, gli chiedemmo cosa fosse successo e lui disse che ci voleve calma. Si rituffò, secondo sparo e stavolta il fucile rimase sul fondo attaccato alla sagola; una cernia di dieci chili finì in barca, ma non era finita, si rituffò e portò un sarago faraone di più di due chili.

A quel punto noi eravamo all’apice della felicità per questi numeri da grande campione e cominciammo a capire che magnifico atleta fosse nostro padre.
Fu un’estate meravigliosa fatta di grandi avventure, d’acqua salata, di freddo mare buono o cattivo, di pasti saltati, di odore di miscela, di tuffi a grande profondità,di insegnamenti sull’arte della pesca e di urla di disapprovazione quando sbagliavamo qualcosa, finchè un giorno di settembre mentre eravamo alla secca di Capo Boi dopo un tuffo profondo ad oltre trenta metri si lamentò per un forte dolore al fianco destro.

Tornammo in porto e lui stava male,molto male ma noi non potevamo sapere che a pesca con lui non saremmo andati mai più. Il 14 dicembre del 1977 nostro padre morì e ci lasciò per sempre, ma capimmo quanto era stimato dalla gente poiché in chiesa arrivarono centinaia di persone a salutarlo per l’ultima volta, per rendere omaggio ad un grande campione che aveva vissuto solo per questo meraviglioso sport quale la pesca subacquea. Ora io e mio fratello siamo quasi quarantenni con le nostre esperienze di vita e di pesca alle spalle, di tante avventure in mare, ma restiamo di stucco quando le persone ancora oggi parlano di Salvatore Grosso come se ci avesse lasciato soltanto ieri.

Grazie Papà